Il nuovo logo per Firenze. Intervista al grande Milton Glaser

Il nuovo logo per Firenze. Intervista al grande Milton Glaser

Dopo Venezia, Roma, Amsterdam e molti altri, il Comune di Firenze ha bandito un concorso per definire il nuovo logo per la città.
A un mese dalla chiusura del contest il sito artribune.com ha intervistato Milton Glaser, ovvero colui che nel 1977 creò il mitico logo “I love NY”. Le polemiche sono sempre all’ordine del giorno, sopratutto quando vengono espresse da un grande progettista come Milton Glaser.

Al termine dell’articolo, se volete, potete leggere l’altro articolo del nostro blog che ha avuto tanti commenti dai visitatori, sul nuovo “logo” del Comune di Roma. Lo trovate qui


Riportiamo qui la bellissima intervista:
“Il cuore stilizzato di New York, la sirenetta di Copenhagen, quell’I AmSterdam che ci fa sentire subito olandesi…”: così iniziava il bando del contest in Rete lanciato dal Comune di Firenze alla ricerca di un “brand”, “un logo che caratterizzi il futuro della città”. È passato più di un mese dalla chiusura del concorso. Nel frattempo abbiamo domandato cosa ne pensa all’autore di quel cuore stilizzato riguardo a questa “sorta di concorso 2.0 sul web”, realizzato sulla piattaforma di crowdsourcing Zoppa. Milton Glaser nel 1977 ha creato, per il Dipartimento del Commercio di New York, il celeberrimo marchio I❤NY della campagna pubblicitaria ideata da William S. Doyle in collaborazione con l’agenzia Wells Rich Green.

Come sei stato scelto nel 1977?
Avrebbero potuto scegliere chiunque tra le centinaia di persone che avevano il genere di esperienza e background necessari, ma non si trattava di una gara. Era un incarico: sono venuti da me e mi hanno detto: “Questo è quello che vorremmo, con questi limiti, in questo modo…”. Era un accordo di lavoro, nonostante l’assenza di un budget. Non so nemmeno perché sono stato scelto, forse qualcuno conosceva qualcuno che conosceva qualcuno… Nel caso del contest fiorentino esiste un premio, messo a disposizione da un brand di auto.
L’intersezione tra politica e business è disgustosa, qui negli Usa come altrove. Perché un’azienda privata dovrebbe avere un qualche tipo di interesse sul modo di esprimere la propria identità di una città? Se l’azienda entra a far parte di questo processo, l’identità cittadina diviene parte della storia dell’azienda che la sponsorizza. E 15mila euro non sono niente, sono il costo di un paio di inserzioni pubblicitarie… L’intera faccenda non mi sembra affatto chiara e, se mal pilotata, suscettibile di errore. Aggiungi che, se guardiamo in giro e analizziamo altre gare fatte in questo modo, è facile vedere quanto i risultati siano stati mediocri.

Tu come l’avresti strutturata?
Un progetto del genere richiede una grande idea, una grande esperienza: ci sono persone intelligenti in questo campo che sanno quello che fanno, e il fatto che la competizione sia aperta a tutti non assicura certo un processo democratico. Se si fosse voluto fare un esercizio di democrazia, occorreva fare due gare: una di professionisti, su invito, e una dove chiunque voleva sottoporre un’idea poteva partecipare democraticamente. Alla fine il giudizio sarebbe stato dato non dal pubblico generico, ma da coloro che di professione studiano il modo di comunicare.

Manca quindi professionalità?

Scegliere un marchio non è come dire che colore ti piace, non è questione di preferenze. È una questione di efficacia. Ci sono tantissime componenti nel processo di creazione di un brand del genere, soprattutto considerando gli aspetti formali, il modo in cui qualcosa ci appare, ci solletica la mente, e si fa ricordare per sempre, ci fa sentire bene. Questa è la cosa più difficile, la componente estetico-artistica, che in qualche modo va dritta al cuore. Non si tratta di parole, di persuasione: nel regno dell’arte si va al di là della razionalità e della logica. Se si è nel mondo pubblicitario, si possono persuadere le persone a fare qualcosa, ma arrivare al cuore delle persone è diverso: questo fa la differenza nel comunicare bene. Chiamati a giudicare, coloro che sono già nelle schiere istituzionali del potere, i burocrati, non potranno certo capirlo. Comprenderanno la logica e i meccanismi di persuasione, ma non possono capire come funziona l’arte.

Torniamo così al problema della selezione…
Il processo di selezione è molto complesso e difficile. Va fatto da qualcuno che abbia esperienza nel campo. Qualcuno che ha coscienza di sé e del suo lavoro e che per questo sia degno di rispetto. Una gara di questo tipo si fa tra pochi partecipanti, tre al massimo, non 500. Se hai 500 piatti da assaggiare, come fai a dire qual è il piatto più buono? Più sono le persone invitate, e in questo caso sono tutti, più è certo che ci sarà un cattivo risultato. Questa è un’obiezione statistica, non artistica.
La tesi di Glaser è semplice: questo tipo di meccanismo non garantisce risultati semplicemente perché trasforma un processo di dialogo qualitativo in uno di selezione sulla quantità, operato da una giuria probabilmente istituzionale e forse non preparata. Come sempre, le soluzioni dei creativi sono quelle caratterizzate da un rovesciamento della prospettiva: tralasciando il problema di chi ha deciso di partecipare stando a queste regole, quello che resta ancora oscuro è chi sarà incaricato della scelta delle proposte. E non è un cavillo.

http://www.miltonglaser.com

Articolo scritto da:
Diana Di Nuzzo

Articolo ripreso dal sito:
http://www.artribune.com

L’Articolo sul nuovo “logo” del Comune di Roma. Lo trovate qui

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